#SpazioTalk, Liam Bertazzo: “Il ciclismo sta cambiando, c’è meno rapporto umano. Non rimpiango la scelta di ritirarmi”
Liam Bertazzo dice basta al ciclismo professionistico. Il passista e pistard può vantare diversi risultati di prestigio in carriera: l’oro mondiale ed europeo nell’inseguimento a squadre su piste, i successi da professionista al Tour of China e non solo. Dopo questa stagione, però, ha deciso di lasciare il professionismo e lavorare nella ditta di famiglia. La redazione di SpazioCiclismo lo ha intervistato: una parte dell’intervista può essere ascoltata all’interno dell’ultima puntata del podcast SpazioTalk.
Hai annunciato la tua intenzione di ritirarti dal ciclismo professionistico. Confermi?
Sì, sono sempre convinto dell’idea fatta. Era già da marzo che avevo preso questa decisione. Il mio obiettivo era Parigi 2024, ma ho visto che non ho reso come volevo, la situazione e da lì ho scelto di chiudere a fine stagione. Da marzo mi allenavo in bici la mattina e lavoravo in ditta di pomeriggio, quindi sono entrato nel mondo del lavoro. Adesso è da due mesi che sono a tempo pieno nella ditta. L’ultima gara è stato un momento particolare, prima della partenza abbiamo pedalato in mezzo al gruppo, ho ricevuto tanti messaggi. Adesso però si torna alla normalità.
C’è qualche rimpianto dopo tutto l’affetto ricevuto o pensi sia il momento giusto?
Non rimpiango la scelta fatta di sicuro. Mi ero già predisposto all’idea di ritirarmi a marzo. Il ciclismo di adesso è molto impegnativo, quando sono passato professionista era molto diverso.
In carriera ti sei tolto tante soddisfazioni, dall’oro ai mondiali su pista al titolo europeo, sempre nell’inseguimento a squadre, ai successi al Giro della Cina. Qual è il ricordo a cui sei più affezionato?
Ce ne sono tanti, ho sempre cercato di vivere al meglio ogni momento. Le vittorie in Cina sono state un momento particolare per me. Il Giro d’Italia è stato un evento a cui ho partecipato con tutto me stesso, due volte: la prima mi sono ritirato, la seconda sono arrivato in fondo. Sono passato dal mio paese, ho salutato la mia famiglia, è sempre stata un’emozione unica. Per un corridore come me è sempre qualcosa di molto particolare. Negli anni la cosa che mi fa più piacere ricordare però è il cammino con la nazionale su pista. Quando sono partito facevamo il quartetto con Viviani, Moser e Simion o Scartezzin. Eravamo molto distanti dai primi. Dal 2016 c’è stata la svolta con il quarto posto ai mondiali, sfidando il quartetto di Wiggins che poi ha vinto l’oro alle Olimpiadi. Siamo andati a Rio grazie a Marco che ci ha sempre creduto. Siamo sempre migliorati, arrivare a vedere queste vittorie è bellissimo. Quando sono passato io, l’Australia era il dream team imbattibile. Adesso è quasi una nazione come le altre, anzi guardano noi. Ogni momento della pista mi ha lasciato il segno, non riuscirei a dire un momento particolare. Ho talmente tanti bei ricordi con chi mi ha aiutato che non potrei scegliere. Siamo partiti che eravamo gli ultimi, ora siamo i primi e gli altri ci seguono.
Lo avete fatto anche ribaltando ogni pronostico.
Sì, i primi anni anche la stampa ci criticava. Dicevano che noi avevamo i soldi ma arrivavamo dietro a nazionali con materiali peggiori, che perdevamo tempo e la pista non sarebbe servita niente. Per il gruppo di amici che siamo sempre stati abbiamo mostrato a tutti il nostro valore. Le vittorie si ottengono lavorando con calma, se si sbaglia si riparte e si lavora. Questo per me è stato un segno molto importante. Bisogna lavorare nel tempo sugli obiettivi. Nel 2014 e 2015 la pista era sinonimo di perdita di tempo, ora fanno a gara per avere corridori che prendono medaglie in pista. Noi eravamo controcorrente e negli anni ci siamo presi una bella rivincita su chi attaccava Marco Villa e il nostro operato. Abbiamo mostrato il gruppo che si è creato.
Hai qualche rimpianto di non essere stato titolare nel quartetto a Tokyo?
Sì, un po’ mi è dispiaciuto. Da quando mi sono operato alla schiena nel gennaio 2020 è stato il mio obiettivo. Sono sempre stato determinato, poi è andata come è andata. Negli anni ho capito che da ogni situazione si può prendere qualcosa. Quello che ho vissuto mi ha insegnato a lavorare, a credere in me stesso e capire quando ne vale la pena e quando no. È un rimpianto ma non ha senso diventare matti. Rispetto a tante altre persone, io ero lì. Quindi sì, mi dispiace, ma non da diventarci matto. Prima che mi operassi non riuscivo a camminare senza provare dolore. Cerco sempre di guardare il lato positivo.
La tua carriera è sicuramente stata segnata anche dalla chiusura dell’ex Vini Zabù nel 2021. Secondo te se ci fosse stata una situazione economica diversa nelle squadre italiane, la tua carriera sarebbe stata più lunga?
Se devo essere sincero, per me sì. In Francesco Frassi ho trovato un grande allenatore, che tuttora mostra la sua personalità. Hanno visto tutti cosa ha fatto quest’anno la Corratec, con grandi risultati nel Giro d’Italia. Mi ha sempre difeso, se ho vinto il mondiale molto del merito è suo. Forse se avessi potuto continuare con lui sarebbe stato diverso. Uno come lui, che sa valorizzare la persona, sa capire e sa tirare fuori il meglio di ognuno nei vari momenti, è fondamentale nel ciclismo. Sa farti tirare fuori tutto quello che hai, anche nei momenti particolari. Ti fa sentire a tuo agio e non ti fa mancare nulla. Sono felice di quello che sta facendo in Corratec, fa capire l’allenatore e soprattutto la persona che è. In un ciclismo così, che vuole solo i punti, è sempre bello avere un allenatore umano che ti sta vicino. Ci tengo a sottolinearlo.
Con Marco Villa c’era un bel rapporto ma era una nazionale, è una cosa diversa. Nel ciclismo di oggi invece si va avanti di una o due stagioni alla volta, a livello umano avere uno come Frassi è oro. Quando ho avuto il problema alla schiena ho corso in Croazia e ho fatto fatica, è normale che soffrissi di più. Altri mi avrebbero criticato, lui mi ha difeso, mi ha capito e mi ha protetto. Siamo andati alla Coppi e Bartali e abbiamo vinto la prima volata con Mareczko, davanti a squadre World Tour, facendo vedere di che pasta eravamo fatti. Mi sarebbe piaciuto aver lavorato di più con Francesco, è una persona che ringrazio.
Hai deciso di non rimanere nel mondo del ciclismo perché volevi cambiare aria o perché non si sono aperte porte, anche come direttore sportivo o assistente?
Volevo cambiare aria. Ho iniziato per passione, seguendo mio fratello e mio papà. Poi ho cercato di raggiungere i miei obiettivi, ma ora voglio vivere in un ambiente diverso. Negli ultimi anni il ciclismo è cambiato, è tutto più esasperato. Rispetto all’inizio è cambiato tanto il rapporto tra le persone, è più nei numeri, nelle vittorie, nei punti, non più nelle persone. Le medaglie sono belle, le vedi, ti fanno la carriera, ma dopo tanti anni ti ricordi le persone. Ero un po’ saturo, stanco, da lì ho deciso di cambiare e andare nella ditta dei miei genitori. Voglio ripagare lo sforzo e l’aiuto che mi hanno dato in questi anni.
L’importanza del lato umano per te è stato evidente anche nella tua ultima stagione, quando hai aiutato Fortin a vincere in volata nonostante avessi già deciso di ritirarti.
Con lui siamo diventati amici e lavorare da amico è più facile. Per me era una passeggiata lavorare con lui, sapevo come muovermi, quando spingere, quando incoraggiarlo le poche volte in cui serviva e quando calmarlo. E quest’anno ha fatto la sua miglior stagione da professionista. Per un amico daresti l’anima, se ce ne fossero di più nel ciclismo ci sarebbero più risultati. Se uno deve tirare la volata è inutile che arriva dodicesimo o tredicesimo.
Hai un messaggio per i giovani che si avvicinano al ciclismo?
Questo sport è una scuola di vita. La cosa bella è che gambe o non gambe devi arrivare in cima alla salita. Ti fa capire molte cose, la determinazione, il rispetto per il proprio corpo. Ha molti sani valori. Il ciclismo è cambiato parecchio, l’unico consiglio che posso dare è di impegnarvi. Avere obiettivi è importante, ma non bisogna trascurare che siamo umani, il fattore umano è sempre fondamentale. Il ciclismo ci permette di viaggiare tanto ed è importante conoscere la mentalità dei posti in cui si va, conoscere le persone. È una cosa che non tornerà più. È meglio viversela a pieno, cercare di imparare da ogni momento. Non isolatevi, il lato umano è sempre bello da vedere.
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